Che tristezza vederli così sonoramente bollati su altri lidi. Soprattutto dopo aver sfornato un disco che, seppur non ai livelli di Gipsy Punks: Underdog World Strike (ma picchi del genere poche band riescono a replicarli), riesce a tenere incollati ben oltre il risicato pugno di ascolti che se ne fa per dovere di recensione. Perfino chiamarlo dignitoso rischia di sminuirlo. Perchè il dubbio è che se l'avesse scritto un'altra band sarebbe stato celebrato quantomeno come papabile disco del mese. Mentre dai Gogol Bordelllo ci si attende sempre di più, il top per loro è la normalità.
La verità, come al solito, sta nel mezzo. In senso aristotelico. Non tra la mediocrità e l'eccellenza, bensì tra la sufficienza e il massimo grado della valutazione.
Il decimo album disco di Eugene Hutz e soci mostra ancora il combo esibire con fierezza la sua totale mancanza di precise coordinate storico/geografiche accompagnata a radici ben salde in un humus culturale che esiste, chissà dove, ma esiste. Cosmopoliti ma folcloristici, global ma local. Oggi qua, domani là: è la filosofia che devi sposare, sennò mai li capirai.
La miscela gipsy/folk/punk è la consueta ma con l'aggiunta qua e là spezie dagli orti vicini, trafugate di notte, quando nessuno se ne accorge. Pertanto se Did It All e Break Into Your Higher Self sono tipiche cavalcate in stile GB, le inflessioni tex-mex di Walking On The Burning Coal mostrano come si possa cambiare rimanendo, splendidamente, se stessi. Così come se da loro ti aspetteresti una Saboteur Blues, primo singolo del lotto (e chissà se hanno mai ascoltato i “nostri” Guappecartò...), la splendida title-track toglie ogni perplessità circa le residue capacità della band di scrivere ancora grandi canzoni.
E nella categoria “sorprese” sono da annoverare anche le divagazioni art-rock di If I Ever Get Home Before Dark che riportano alla mente addirittura i Virgin Prunes, e la conclusiva Still That Way, ballata unta e bisunta da sudicio pub dublinese, immaginando i Pogues e i Rolling Stones che si dividono il palco mentre il pubblico canta ubriaco.
Abbonda, come sempre, il campionario strumentale classico associato alla parola “tzigana”: violini, fisarmoniche, trombe, marimba. Il tutto, però, rielaborato in chiave pop. Perchè in fondo di questo si tratta. E allora, zingari di tutto il mondo: unitevi. E ballate, chè del doman non v'è certezza
Articolo del
13/11/2017 -
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