Ogni volta che Bob Dylan mette mano ai suoi archivi più o meno segreti per allungare la serie dei Bootleg Series, si attende sempre la nuova uscita con trepidazione, per scoprire quali altri gioielli il maestro di Duluth abbia deciso di rendere pubblico, dopo averli tenuti celati (per tacere dei bootlegers) per chissà quanto tempo e per chissà quale motivo. L’ultima era stata la volta del bellissimo No Direction Home, che nel 2005 accompagnava come colonna sonora l’ottimo documentario di Martin Scorsese che raccontava Dylan dalle origini fino all’incidente motociclistico del 1966. Stavolta invece il volume 8 dei Series, intitolato Tell Tale Signs, racconta un periodo molto più recente della carriera di Mr. Zimmermann, quello racchiuso tra il 1989 e il 2006, con un doppio cd che raccoglie senza curarsi di rispettarne l’ordine cronologico, tracce inedite, alternate versions, esecuzioni live e alcuni brani scritti e incisi per colonne sonore durante questo periodo. Va subito detto che il periodo in questione arrivava dopo un altro lungo spaccato della vita artistica dylaniana, quello tra la fine dei ’70 (diciamo dopo Desire) e appunto tutti gli ’80, da molti considerato il periodo meno ispirato e meno brillante di tutta la sua luminosa carriera. E’ vero però, che proprio Oh Mercy, pubblicato nel 1989 e di cui Tell Tale Signs propone diverso materiale, segnò una sorta di rinascita, e per alcuni critici e fans può essere messo subito dopo i capolavori dei ’60 e dei ’70. Era l’inizio della collaborazione con Daniel Lanois, che provò a portare Dylan su territori più moderni forzandone la produzione secondo il suo stile, e rinnovandone le sonorità. Risultato ottenuto almeno in parte, venendo a patti con la lucida ma non sempre ispiratissima ritrosia di Dylan che definì Lanois, “un concetto che cammina”.
Bootleg Series Vol. 8 parte però con una Mississippi, che spunta invece dalle sessions per Time Out Of Mind (ma che poi finì pubblicata su Love And Theft nel 2001), tanto per confermare lo scarso interesse del progetto a voler proporre un percorso per forza cronologico, ma che nella versione scarna e magica qui riprodotta, potrebbe arrivare da nessun tempo, con il suo racconto piano, scandito da un battere sulla cassa dell’acustica, che da sola varrebbe l’acquisto del doppio cd. La versione di Most Of The Time, riporta invece a quell’Oh Mercy di cui si è detto, anche se sentita così è quasi una citazione da Blood On The Tracks, ritmica secca e piena, armonica a bocca e cantato senza fronzoli. Un po’ come la versione solo piano dell’inedita Dignity (proposta però anche in versione full band, meno efficace, con basso quasi boogie nel cd 2). Bella e sorprendentemente esclusa da quel disco di fine ’80, la lunga e affilata Series Of Dreams, dove la mano di Lanois si sente eccome. Capitolo a parte per la versione live di Ring Them Bells, quasi mistica e carica di significati simbolici tra i solchi di Oh Mercy, e che nell’esecuzione dal vivo (dal tour 1993, a New York) si carica al di là dei suoi significati religiosi e delle citazioni bibliche, di una urgenza e di una partecipazione emotiva notevolissima. Solo un paio di episodi ricordano i due lavori di recupero dalla tradizione blues e folk americana (Good As I Been To You e World Gone Wrong) dei primi ’90: una 32-20, omaggio a Robert Johnson e il traditional The Girl On The Greenbriar Shore, ripresa in un live del ’92 in Francia. Da Time Out Of Mind, datato 1997, ancora prodotto da Daniel Lanois e da molti considerato l’ultimo capolavoro di Dylan, Tell Tale Signs va a recuperare Mississippi, al tempo ceduto a Sheryl Crow, (e poi pubblicato dallo stesso Dylan in un’altra versione nel 2002, come detto) e qui riproposto in apertura: del primo disco in una versione a dir poco splendida, con l’intreccio delle acustiche ad accompagnare il canto a tratti ruvido, a tratti sussurrato, e all’inizio del cd 2 in un’altra versione invece full band un po’ meno brillante. Gli episodi tratti dal periodo di Time Out Of Mind sembrano comunque i più convincenti a conferma di un disco che, giustamente, al tempo riportò Mr. Zimmermann sugli scudi: bella e rotonda la malinconia un po’ Louisiana, un po’ tex-mex di Red River Shore, mentre Can’t Wait, nella versione alternativa a quella già edita, non aggiunge troppo a quanto già conosciuto, pur confermando la qualità della scura vivacità di quel disco e di quel Dylan . Solo due episodi tratti dal periodo Love And Theft; una versione live di High Water, registrata alle cascate del Niagara e con una delle band più solide degli ultimi tempi di Dylan con Freddie Koella alla chitarra solista nel 2003, e un’altra take live per Lonesome Day Blues in un concerto del 2002. L’ultimo lavoro di Dylan, Modern Times del 2006, che divise la critica, è invece rappresentato da due versioni alternative a quelle già pubblicate, di Someday Baby, e Ain’t Talkin’, quest’ultima in particolare però già inarrivabile nella versione che conoscevamo. A completare il doppio cd, alcuni brani pubblicati in questi anni per colonne sonore, Tell ‘Ol Bill (per il film North Country), Huck's Tune (per il film Lucky You) e una monumentale 'Cross the Green Mountain dal film Gods And Generals.
Chi si aspettava, insomma, che dallo scrigno dei segreti Bob Dylan tirasse fuori bauli di gemme e capolavori nascosti, forse resterà un po’deluso: se è vero che non mancano almeno 3-4 brani di valore assoluto, le alternate versions non sembrano aggiungere troppo a quanto già pubblicato, a parte gli scaffali dei completasti. Le poche tracce dal vivo (tra le quali efficace la resa di Cocaine Blues, live 1997) lasciano più che altro la curiosità di sentire finalmente pubblicato ufficialmente un concerto degli ultimi anni del NeverEnding Tour, mentre tra gli inediti, oltre a qualche capolavoro non mancano alcune tracce piuttosto deboli come Born In Time o God Knows. Un Dylan minore, in definitiva, quello fotografato in questo percorso tra inediti e outtakes degli ultimi vent’anni, capace di sorprenderti come sempre col suo periodare geniale e pittorico ma, a parte qualche eccezione, per questa volta non imperdibile. Eppure basta poi adagiarsi sulle righe del Mississippi, “Ogni passo del cammino, percorriamo il limite / I tuoi giorni sono contati, e così i miei / Il tempo si ammassa, ci affanniamo e graffiamo Siamo tutti inscatolati, senza nessun posto dove scappare”, e ci si trova ancora una volta attoniti di fronte alla sua poesia senza tempo.
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