A volte ci sono degli incontri musicali che colpiscono sin da subito, che si insinuano sotto la pelle come una dolce malattia. E possiamo dire che Drew Piston è uno di questi. Questo omonimo disco d’esordio per la Spider Town Records ci porta direttamente dalle parti delle “Beautiful Maladies” waitsiane, ci offre uno scarno affresco fatto di storie malinconiche, solitudini, crimini e desolazione. Il canzoniere di questo ragazzo americano, originario del Nord Idaho, colpisce sin dal primo ascolto e si regge sulla sua scarnezza, sulla sghemba poeticità ereditata dall’Orco di Pomona. Drew è un burattinaio randagio in grado di muovere i suoi fili in modo decisamente sapiente: gli basta la sua voce, accompagnata da una chitarra e pochi altri strumenti che sembrano essere stati trovati lungo il cammino, che compaiono quasi timidi dietro la sua voce e le sue storie. L’ombra di Tom Waits, dobbiamo ammetterlo, è decisamente ingombrante e il cantautore originario del nord Idaho non fa quasi nulla per nasconderla, anzi spesso la esibisce. Ogni tanto l’omaggio rischia di sconfinare nel plagio, come in “Ghost Town Waltz”, “War Machine” - casuale l’assonanza con “Bone Machine”?- e nella ballata finale “Yvette”, storia di un abbandono (forse) con delitto. Piston, al di là di evidenti ispirazioni, ha però un dono che non è da tutti: la capacità di raccontare storie. Musica e testi, seppur nella loro essenzialità non perdono un colpo dal punto di vista emotivo. Il suo mondo è fatto di bottiglie di whisky, biglietti lasciati lungo il cammino, di crimini romantici ma efferati, di fantasmi bonari. I suoi bozzetti surreali, come quello efficacissimo e asimoviano del singolo “I, Human” sono spesso in grado di lasciare il segno. Ogni tanto, come uscite dalla penombra, affiorano piccole gemme come la toccante “Old Man Dancing” o il quadretto domestico e stralunato di “Dish Song”, che contiene un verso splendido che vale la pena di ricordare: «My ghost will find you long before I die». Non mancano ninnananne senza lieto fine come “Lullaby” e la malinconica “Missus Margee”, che sembra recuperare suggestioni quasi springsteeniane. Un altro tema che sta a cuore a questo giovane cantautore è il crimine, visto come epifania di quella realtà oscura che è l’altra faccia del viaggio e della ricerca. Ne sono un esempio le due canzoni che aprono e chiudono l’album, “Gun Shy” e “Yvette”. Questa attenzione così accorata ai fuorilegge, tipica della tradizione folk americana evidentemente molto cara a Piston, ricorda il canzoniere del grande Johnny Cash. “Something To See”, con la sua armonica finale, rimanda direttamente al primo Dylan. Insomma, i modelli abbondano, a volte quasi ingombrano. Tuttavia Drew Piston dimostra di saperci davvero fare quando riesce a scrollarseli un po’ di dosso. La sua voce, quando non rincorre troppo i propri eroi, sa essere emozionante come pochi. In conclusione possiamo dire che “Drew Piston” è un esordio con i fiocchi semplicemente perché è difficile rimanere indifferenti alla forza emotiva di queste canzoni. Se state cercando un nuovo cantautore a cui affezionarvi questo ragazzo americano fa decisamente per voi.
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