Nuova uscita collaterale per i Jennifer Gentle, in attesa del nuovo album Sub Pop, previsto per il giugno di quest’anno. Marco Fasolo, vero deus ex-machina della formazione padovana (ma ormai con due triestini, un veneziano e un imolese in forze), sforna un concept album di estrema sperimentazione e grande bellezza dedicato all’astronomo dilettante e visionario Giovanni Paneroni da Rudiano, Brescia (1871-1950), che tentò un improbabile assalto al cielo copernicano. Riedizione della pugliese A Silent Place di un cd-r originariamente uscito in sole 100 copie nel 2005 per la Sub Pop (collezionisti! A voi!), “A New Astronomy” è un album che ridefinisce le coordinate spazio-temporali della musica dei JG, da sempre in bilico tra visionarietà barrettiana e kosmische Musik di Can, Faust, Amon Düül II: ma ora in più c’è l’esperienza delle “Sacramento Sessions”, con il noise puro alla Nurse With Wound di “5 of 3”, e della colonna sonora del biopic dedicato a quel geniaccio sperimentatore di nuovi suoni che fu Joe Meek, a cui qui è dedicata la conclusiva “Me and Joe on the Moon”. Il carattere oscuramente horror che è spesso sotteso alle composizioni psichedeliche dei Jennifer, che sottolinea il buio dei tempi in cui viviamo e rende attuale la musica dei padovani, qui si accentua, pur senza rinunciare a squarci di serenità pastorale, come in “Hollow Earth Theory”. “A New Astronomy” è la colonna sonora della vita di Paneroni, del suo folle incubo, dei fantasmi della sua mente (esemplare il satanico sirtaki di “Hiss from nowhere”, fin dal titolo), dell’oasi di fuga da questo mondo creato dalle sue strampalate teorie. C’è spazio per tutta la gamma del suono JG: l’affascinate noise magmatico e creaturale di “Lost Aurora”, il selvaggio garage decostruito alla Godz di “The Cannibal Club” (ideale soundtrack per un B-movie di Vivarelli), i droni mantrici di “Church of the Black Emptiness”, e – novità - le hendrixiane chitarre al contrario di “What did you say?” e “Classification of Clouds” con i suoi tenuissimi linguaggi di altre specie. All’aurora perduta che apre il disco corrisponde l’ultima aurora del dodicesimo brano, maestosa e pregna del rimpianto per ciò che non sarà più. Oltre, c’è solo spazio per la buffa favoletta di “Me and Joe on the Moon”. Grande album, anche se non facile: per chi ama la psichedelia e per chi – sbagliando – crede che il genere sia finito in qualche luogo tra Altamont e Bel Air.
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