Copertina dalle reminiscenze duftpunkiane (o Bellamiane?) tra rifugi di vetri con visione illuminante, nome d’arte dalle evocazioni (decisamente) post-illuministe, titolo con propositi protettivi (dalle irregolarità sincopate del XXI siècle?). La prima impressione del secondo lavoro della band torinese lascia spiazzati signori (sarà per l’apporto dei Perturbazione?), per cui si parta da un presupposto tanto semplice quanto allettante: qui, ogni diretta ricerca di logica (stricto sensu) è tempo perso. Eppure, allettata da strade tortuose (nonché dal precedente “Rivoluzioni A Pochissimi Passi Dal Centro”), decido di percorrerle intraprendendo un continuum vagabondeggiante nell’universo Verlaine alla scoperta di qualsivoglia logica venerante la loro (apparente) di illogica. E scopro perspicacia, volontà di spezzare l’alchimia compositiva con racconti (perché di vere fabule si tratta) di significato contornati da singole specificità d’arrangiamento, essenzialità peculiare, cantautorato non-convenzionale (per rimanere in tema bohémien) e temi ricorrenti: 30 (anni), gin, inverno, sesso, poesia, ricordo, addio, pioggia (cercata), sole (snobbato ma allo stesso tempo ri-cercato), lontananza, vicinanza, fuga, ritorno. Se poi vi dicessi che il tutto è guarnito da armonie space, chitarre classiche con decisi/vi picchi di vibrazioni elettriche, cavaquinhos, spogli colpi di tastiera, registri gravi degli archi e ottoni?
Immergiamoci ancor di più in questi Wild e Mood(y) Swings. Si parte col bruitisme instrumental di Piccoli Trascurabili Errori che a metà brano sprofonda in inquinamenti acustici glitch per dare sfogo finale (tutt’altro che trascurabile) alla voce (senza dubbio esente da grandi errori). Ed è proprio quest’ultima a prenderci per mano e farci respirare dicotomiche historie caratterizzate da trasfigurazioni di luoghi comuni: da Respirare a Passare L’inverno, da Garrincha alla Chetamina E Beaujolais (decisamente ‘fleetfoxesianamente’ folkeggianti) ci si immerge in sovrapposizioni di ricorrenze comuni percosse da sensibilità acusmatica a tutto tondo, ma senza sperimentazioni smaterializzate. Con i Verlaine, in effetti, le sonorità hanno ovunque pennellate di tinture originarie, pulite, classiche. La satirica Ifiatinonsonosuonatidaenricogabrielli ne è l’esempio lampante riuscendo a convergere atmosfere classicheggianti, soffusamente bossanoviane, straziantemente synth per un risultato “tattico infallibile”. Ma non sempre è la tattica a prevalere: il minuto di 07/2007 è puro demo di cazzeggio registrato durante qualche prova di luglio, al contrario di Branduardi in Iran che spiazza con inganno la seriosità dell’impianto compositivo con intenti testuali di segno opposto.
Il meglio alla fine. L’apparente leggiadria di Daria (ragazzi, avete ingaggiato Porl Thompson a suonare il pettine chiuso nell’armadio dello studio di registrazione?) cela una storia caratterizzata da strane attrazioni: Daria vive in bilico tra una vita più adatta alle proprie inclinazioni (”non sa cosa dire/ vorrebbe rispondere: sono cresciuta a chitarre e Nirvana/la musica sta per finire/scrive un numero e dice: magari ci sentiamo in settimana”), e accettazione miserabile di una condizione piatta. Debolezza e coscienza del proprio io si scontrano..Daria è debole.. A quanto pare non solo Daria è cresciuta a pane e Nirvana: il giro ricorrente di chitarra de Gli Anni In Tasca rimanda a “In Utero” (All Apologies?). E di similitudini (valevoli) parlando, Saluggia saluta con un finale motivetto à la I Was Made For Lovin’ You. E dato che, cari Verlaine, siete stati creati per amare la musica, a me sembra giusto concludere così:
La musica prima di tutto e dunque scegli il metro dispari, più vago e più lieve, niente in lui di maestoso e greve.
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