A prima vista la copertina e il titolo del disco farebbero pensare ad un progetto di musica elettronica, o comunque ad un qualcosa di prettamente avanguardistico, spigoloso, alternativo. In realtà il disco d’esordio dei Cube Loose, complesso romano – ma con radici partenopee – attivo dal 2009, è tutt’altro che rivestito da elementi sintetici. E non è neanche così rivoluzionario, modernista come si potrebbe credere. La sperimentazione comunque c’è, ed è pure molta. Forse però, più che di sperimentazione, sarebbe opportuno parlare di contaminazione. Questo perché le nove canzoni racchiuse nell’elegantissimo ”Forme E Cristalli”, dato alle stampe sul finire del 2012, denotano una suggestiva, nonché favolosa, miscela di generi e correnti sonore piuttosto lontane dalla tradizione italiana. Tuttavia, dall’ascolto ripetuto di questo album si percepisce come il punto di partenza sia la musica d’autore nostrana, con tiepidi rimandi ad alcune strepitose colonne portanti della canzone italica degli ultimi quarant’anni come Fossati, Conte, Capossela e Testa. Tuttavia qui il cantautorato non è altro che un pretesto, un punto di partenza.
Se infatti i Cube Loose cercano di non perdere di vista determinate peculiarità della forma-canzone, allo stesso tempo non sembrano intenzionati a porsi alcun tipo di limite riguardo i continui risvolti sonori. I pezzi risultano quindi ricolmi, infarciti di non pochi elementi di vario tipo, jazz, bossa nova, folk, prog e fusion, uniti ad ammalianti aperture musicali dal respiro latino e mediterraneo, sono i generi prevalenti. Moltissimi insomma, questo è chiaro. E il bello è che riescono a fonderli, a gestirli con un’apparente semplicità a dir poco disarmante, facendoli convivere in maniera sempre convincente e mai forzata, dimostrano così tutto il proprio talento, a testimonianza di quelle che sono le loro rispettive e non indifferenti qualità tecniche. Non a caso i quattro elementi della band hanno alle spalle anni ed anni di esaltanti esperienze musicali. E diciamo che si sente, si percepisce nettamente il loro sterminato background, la loro versatilità, il loro modo così professionale di dedicarsi alla musica: la loro sensibilità.
“Forme E Cristalli” è un lavoro magistrale non solo per come è scritto, ma anche e soprattutto per come è suonato. Gli si potrà rimproverare di non essere una produzione molto innovativa in fatto di suoni e soluzioni, ma non sarà certo possibile non riscontrarne lo spessore e la poesia, la finezza e la classe. Ogni brano contiene in effetti una qualità, un aspetto notevole. E del resto gli ingredienti per un esito positivo e piacevole ci sono tutti: testi sontuosi, visionari, raffinatissimi, a tratti d’altri tempi; fraseggi e passaggi strumentali assolutamente intriganti; dialoghi tra chitarre e pianoforte alquanto esaltanti; suoni caldi e corposi; atmosfere evocative, solari eppure malinconiche; ritmi magari poco concitati e travolgenti, eppure calzanti e suadenti. E’ un Lp per intenditori, per amanti e ricercatori costanti di una poesia, di un romanticismo dal gusto quasi retrò oggi sempre più raro e scialbo. Nell’arco del suo sviluppo il disco non sembra perdere colpi e scivola via come se niente fosse, mantenendo un equilibrio, un ordine importante che conferma la sua globale quadratura.
Difficile individuare pezzi maggiormente riusciti rispetto ad altri. Più semplice invece segnalare alcune canzoni frizzanti e in un certo senso immediate, gradevolissime già al primo approccio: l’iniziale A Volte Margherita, la dolcissima Esotica, la coinvolgente Placido Mandingo e poi Orquesta. Non è un caso che si tratti dei brani più influenzati dalle componenti sudamericane, quelle in cui il cantato di Vittorio Fontana sembra essere più a suo agio. È chiaro però che “Forme E Cristalli” sia un disco da ascoltare interamente dall’inizio alla fine. Assimilarlo in maniera disordinata ed affrettata non servirà a nulla. Non porterà da nessuna parte, anche perché si faticherebbe soltanto a comprenderne e ad apprezzarne la logica, la struttura di fondo attraverso cui è stato concepito.
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