Il ritorno sulle scene di Niccolò Fabi è di quelli davvero importanti, di quelli che contano sul serio. Un ritorno importante innanzitutto per lui, reduce da un biennio non certo facile, ma in cui, specialmente attraverso numerose iniziative a scopo benefico, ha dimostrato tutta la sua grandezza, tutta la profondità che contraddistingue la sua indole, il suo modo di porsi e di essere. Ritorno poi graditissimo, ovviamente, tanto per chi lo segue fin dagli esordi, quanto per coloro che si sono accostati al suo universo sonoro in tempi più recenti. Infine, e vale la pena dirlo, il suo è un ritorno importante per la musica leggera italiana in generale.
Già, perché in fin dei conti quanto da lui prodotto nell’ultimo decennio, senza nulla togliere ai primi tre album, è di un livello a dir poco superiore alla media. Superiore rispetto a quanto i suoi colleghi (almeno quelli facenti parte del mainstream nazionale) sono in grado di proporre. Troppo poco si è sottolineato, in passato, il sensazionale salto di qualità avvenuto nel 2003 con l’uscita di un autentico capolavoro quale La cura del tempo. Per non parlare poi dei due gioielli che l’hanno seguito, ovvero Novo Mesto e Solo un uomo, rilasciati rispettivamente nel febbraio del 2006 e nel maggio del 2009. È chiaro che con un trittico di questa portata alle spalle non era proprio facile ripetersi. Eppure, grazie all’umiltà, alla passione per il proprio mestiere, all’estro, alla sensibilità di sempre, il songwriter capitolino, una volta terminato ufficialmente un tour durato quasi un anno e mezzo, si è rimesso presto al lavoro per sviluppare nuove idee destinate a tramutarsi in canzoni. Così, nella seconda parte del 2011, ha preso il via un’intensa fase di scrittura che permesso poi all’artista classe ’68 di entrare in sala d’incisione nel corso della passata primavera. Sono bastate tre intense settimane di recording sessions in compagnia della sua fedelissima band presso i Posada Negro Studios di Lecce per rifinire, ultimare le undici tracce che hanno poi trovato posto all’interno di Ecco: questo il titolo scelto per rappresentare il suo settimo Lp d’inediti, uscito il 9 ottobre scorso per la Universal Music.
Bisogna subito dire che la frizzante aria salentina ha decisamente influenzato lo spirito, il taglio dell’intera raccolta. Ecco è infatti un disco che si staglia immediatamente per la valanga di suoni ed atmosfere che lo attraversano. Come già accaduto nel precedente Solo un uomo, anche qui si denota una continua alternanza di episodi molto diversi tra loro in quanto ad attitudini sonore, generi, arrangiamenti, tematiche e strutture. Nonostante sia pur sempre labile un’impronta pop raffinata e elegante, è evidente la varietà, la voglia di mischiare le carte. Ed è poi netto l’obiettivo di far confluire nei pezzi in scaletta connotazioni dal respiro europeo, se non addirittura statunitense. I tiepidi sprazzi di reggae presenti nella geniale Io lasciano ad esempio il posto a piccoli frangenti di indie folk americano, tra Samuel Beam, Bonnie “Prince” Billy, Elliott Smith, il Beck di Sea Change e l’ultimo – più maturo – Amos Lee. Emblematiche, in tal senso, I cerchi di gesso, Elementare e Lontano da me. Spazio anche per una pregevole parentesi acustica in salsa West Coast: e questo è il caso della deliziosa Sedici modi di dire verde, in cui è magistrale l’uso della pedal steel guitar da parte di Roberto Angelini. Non mancano infine elementi soft e – vagamente – post rock (Verosimile nel primo caso, Indie ed Ecco nel secondo). Più “continentali”, o comunque affini con le tendenze pop rock nostrane, componimenti legati a tematiche di stampo sociale come Una buona idea, primo singolo estratto dal cd, Indipendente e Le cose che non abbiamo detto.
Insomma, un disco intriso di colori. Proprio come si immaginava. Proprio come aveva anticipato l’autore stesso in estate, quando il work in progress era pressoché concluso. Inoltre, come del resto si può immaginare, Ecco è un disco stracolmo di parole, di versi ispirati e spesso illuminanti. Anche se questa volta non è l’intimità – da sempre punto forte della sua poetica – a padroneggiare, bensì l’esigenza di concentrarsi maggiormente su ciò che lo circonda, si palesa in fretta la straordinaria saggezza del cantautore, impeccabile come al solito quando si tratta di condensare in una manciata di righe concetti, riflessioni, impressioni. Come non sorridere contemplando i ricordi infantili, adolescenziali, che riaffiorano in Cerchi di gesso? E come non commuoversi di fronte alla profondità che pervade sia la già citata Elementare, sia la title-track? Forse è quello il Fabi che tutti vorrebbero, ma non si può certo non apprezzare la positività, la speranza, che pervade il resto del lavoro.
Scritto e artisticamente prodotto da Niccolò Fabi, Ecco è stato realizzato assieme alla seguente formazione: Fabio Rondanini alla batteria e alle percusioni, Gabriele Lazzarotti al basso, Roberto Angelini alle chitarre e Daniele Rossi alle tastiere. A supervisionare il tutto Riccardo Parravicini. Se lo consigliamo? Certo che sì. E gli diamo pure un bel 7 per la coerenza stilistica e per l’eccellente resa globale.
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