Da tempo si avvertiva in casa Calexico una voglia di cambiare, di voltare pagina, alla ricerca di nuovi orizzonti musicali da esplorare. La coppia Joey Burns - John Convertino, dopo aver concepito due album seminali quali The Black Light e Hot Rail, dando vita con essi ad un’innovativa fusione tra moderne architetture rock e calde sonorità tex mex, ha cercato negli ultimi anni di ampliare il proprio spettro sonoro, inglobando in esso elementi prima del tutto estranei. Un cambiamento che, partendo dalle oscure tinte noir e dai ritmi latini di Feast Of Wire, proseguendo prima nell’ariosità indie pop di Garden Ruin, primo vero spartiacque della loro discografia, e poi nel parziale passo indietro del recente Carried To Dust, pare aver trovato la quadratura del cerchio nel nuovo Algiers, dove le reminescenze sonore del lungo viaggio fin qui intrapreso vengono sublimate in un suono che guarda al futuro senza dimenticarsi del recente passato.
Allontanandosi per la prima volta dalle mura amiche del Wavelab Studio, in favore proprio di Algiers, periferico quartiere di New Orleans, il duo di Tucson pare aver trovato in una terra “straniera” l’ambiente ideale per rimaneggiare le proprie partiture musicali. Maggiore attenzione è stata riservata alla forma canzone e alla melodia, a discapito delle cinematiche deviazioni strumentali degli esordi, lasciando tuttavia emergere un songwriting mai così solido ed affinato. Frutto di questa maturazione compositiva sono due piccoli gioielli come l’opener Epic e la mossa Splitter, dove protagonista è la voce di Joey Burns, diventata con il tempo uno dei tratti distintivi dell’estetica calexichiana. Convertino, dal canto suo, si muove con la consueta grazia dietro ai tamburi, imprimendo il proprio personale marchio percussivo, tanto nella ritmata Para, quanto nel lento incedere di Maybe On Monday, ad ulteriore testimonianza di come l’aspetto ritmico sia ancora ingrediente sonoro imprescindibile della proposta del combo americano. Dalla loro recente produzione paiono invece essere mutuate le magniloquenti melodie d’estrazione folk della delicata Fortune Teller o di Better And Better, mentre si sviluppano su di un minimale impianto acustico le conclusive Hush e The Vanishing Mind, onirico commiato alla cui evanescenza musicale contribuiscono gli esili contributi di una sezione d’archi e della pedal steel di Paul Niehaus. Sentori latini pervadono la sperimentazione in levare di Puerto e la toccante melodia dell’ombrosa No Te Vayas, affidata alla voce di Jairo Zavala, diventando poi base sonora sulla quale si sviluppano le digressioni strumentali della title track, arrivando a lambire le coste di Cuba. Alla musica cubana sembra attingere anche la drammatica Sinner In The Sea, piccola gemma narrante dell’embargo americano nei confronti proprio dell’isola caraibica, un muro invisibile che permane ancora oggi.
Non so se Algiers rappresenterà per i Calexico un punto d’arrivo o un nuovo inizio verso altri affascinanti pellegrinaggi sonori, è indubbio tuttavia che ci troviamo di fronte alla riuscita opera di un gruppo che, nel bene o nel male, continua ogni volta a stupire.
(Piccola postilla: nella sua deluxe edition, Algiers è completato da un secondo dischetto, Spiritoso, nel quale sono contenute sia nuove che vecchie composizioni, riarrangiate per l’occasione, ed eseguite dal vivo dal combo americano affiancato da due diverse orchestre classiche).
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