IQ (nel senso di acronimo) e resistance (nel senso, letterale, di resistenza) è un accostamento oltremodo glorioso, quasi lapidario. L’intelligenza che resiste, oppure, a essere più sottili, il piacere dell’intelligenza. Ma IQ, come gli amanti di un certo approccio musicale ben sapranno, non è solo la sigla con la quale si mette a budget il quoziente intellettivo, ma anche il nome di una band che con alterne risultanze (coerenza e rigore impeccabili) furoreggia da quasi quarant’anni.
Francamente pleonastico ricordare qui tutte le vicissitudini, l’andirivieni del personale musicante, l’ondivagare tra l’utopia degli anni ’70 e le tentazioni pop del decennio successivo, sempre con l’istanza ultima di un sound da migrare nel nuovo millennio. Il presente del gruppo progressive rock di Mike Holmes si chiama, appunto, Resistance, dodicesimo album in studio, quasi due ore di musica su doppio cd e triplo vinile.
C’era bisogno di così tanto materiale da ascoltare? Sì e no. Sì, perché è oggettivamente sempre più difficile fruire di musica nuova, registrata con suoni e tecnologie moderne, che rilasci tra i solchi l’idea di un mondo dove vincono la curiosità, il gusto per la sorpresa, l’interplay strumentale, il rock tornito, la sostanza sulla forma. Ma anche no, perché a volte sarebbe meglio fare meno ed evitare di percorrere la perigliosa china del ripetersi pedissequamente, laddove quantomeno l’ispirazione non discenda dall’empireo a sciogliere ogni impaccio.
Lapalissiano poi che gli IQ il meglio di sé lo porgano all’ascoltatore allorquando i tempi si dilatino, le forme si sformino e non vi sia la ferrea esigenza di stare tra paletti e strutture rigidamente circolari.
Ecco spiegate le ben tre suite (come si diceva una volta) disseminate lungo l’arco del doppio disco, una alla fine del primo e ben due nel secondo. È qui che la band sale in cattedra, inutile girarci intorno, brandendo i tratti riconoscibili del proprio stile, suffragati dal mestiere tipico di chi è riuscito artisticamente a sopravvivere ai marosi delle mode e del tempo che passa. Se non si rimane a bocca aperta certamente ci si alza dalla tavola soddisfatti e ben pasciuti.
“For Another Lifetime”, “The Great Spirit Way” e “Fallout” dicono tutto: poderosi riff basso-chitarra, batteria incalzante e imprescindibile, atmosfere epiche - a tratti esacerbate, apocalittiche (onore al merito al novello Neil Durant alle tastiere). Ma anche un caleidoscopio di quelle ambientazioni sognanti e malinconiche tanto care ai progster di ogni epoca, pennellate di chitarra classica, spazi centellinati per la bravura di ogni musicista, sebbene Mike Holmes si permetta qualche ragionato (e meritorio) sfogo solistico alla sei corde elettrica.
Il resto è un bel riempitivo che non aggiunge altro, se non confermare quanto già noto. Gli IQ ci sono e lottano insieme a noi, abili ad aver consegnato alle nuove generazioni un patrimonio musicale antico ma rivestito nuovamente.
Postilla finale per il sempiterno Peter Nicholls: non sarà il cantante più tecnico del globo terracqueo ma la sua voce non solo è splendidamente intatta ma sa rendere facili le cose difficili. Provate a seguire con attenzione note e intervalli delle sue linee melodiche: coglierete con sorpresa che di facile, per lui, c’è solo l’incredibile abilità a farle sembrare tali. Chapeau
Articolo del
09/10/2019 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|