Mentre In Italia abbiamo assistito al triste teatrino su quella che è stata la 69° edizione del “Festival della Polemica Italiana”, nei giorni seguenti negli Stati Uniti è andata in scena la consueta premiazione dei Grammy Award. E a proposito di Grammy, Leyla McCalla è una di quelle artiste che può fregiarsi di aver ottenuto l’ambito grammofono d’oro nel 2011, anno in cui trionfò agli “Oscar della musica” nella categoria Best Traditional Folk Albumcon il suo ex gruppo Carolina Chocolate Drops.
Chiusa quella parentesi musicale, l’apprezzata violinista e musicista americana di origini haitiane ha intrapreso un altrettanto brillante carriera da solista che, chissà, un giorno potrebbe valergli il secondo Grammy, questa volta ad personam.
Capitalist Blues è il suo terzo album, disponibile dal 25 gennaio, che segue Day for the Hunter, A Day for the Prey del 2016 e quello del debutto solista Vari-Colored Songs: A Tribute to Langston Hughes avvenuto cinque anni fa.
L'apripista “Capitalist Blues”, nomen omen della title track sospesa a metà tra jazz e blues, si avvale anche della presenza di uno squillante banjo per donare quel tocco di american folk che non guasta mai.
Quella di Leila è una vera e propria battaglia idealistica contro le dinamiche paventate dal (presunto) padre del capitalismo Adam Smith, in aperta critica con una società moderna ormai allo sbando. Il concetto viene ribadito anche nella traccia successiva “Money Is King”, una tagliente parentesi su quanto il dio denaro faccia il tifo più per il ricco che per il povero.
Declinazioni e cause del capitalismo sono dunque colonne portanti all'interno di un album che mostra però anche il suo lato più intimo, “Lavi Vye Neg” è infatti solo la prima delle diverse composizioni eseguite nell'idioma creolo haitiano. Da questa aggregazione di culture, lingue e suoni nasce “Penha”, una preghiera cantata in più lingue, dall’inglese al portoghese.
Il blues ritorna con veemenza in “Me And My Baby”, un brano dove sono rivelati i passaggi più ispirati e donano spessore alla voce di Leyla, decisamente a suo agio nelle vesti di cantautrice che ammicca tanto allo swing quanto al R'n'B.
“Aleppo” rappresenta l'ombra scura che si annida nei meandri del disco: la voce della McCalla si fa più cupa e le distorsioni rock, elementi che trasmettono appieno il dramma umanitario di quel che resta della città siriana. Sul finale le note si addolciscono e il crescente ritmo haitiano mette d’accordo tutti sulla bontà di un lavoro che trova in un brano come “Settle Down” il giusto compromesso tra i ritmi tribali di Haiti e la verve americana della musicista.
Capitalist Blues è una sfilata musicale votata all’attivismo sociale ma non solo, un disco fortemente influenzato da esperienze pregresse e nuovi orizzonti. Tanti i vestiti indossati da Leyla McCalla con fierezza, variopinti e colorati, ma quello più elegante di tutti rimane l’abito blues come il capitalismo esorcizzato nel suo album.
In attesa dei Grammy del prossimo anno per vedere se Leyla McCalla riuscirà a trionfare di nuovo, Capitalist Blues sarà lieto di accogliervi a braccia aperte tra le sue variegate sfaccettature fatte di ritmi, suoni e tanto, ma proprio tanto, attivismo sociale, dedicato a tutti coloro in cerca di riscatto da una società ossessivamente capitalista
Articolo del
04/03/2019 -
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