Se state cercando un album estivo che sollevi il vostro spirito (ma con la dovuta moderazione), permettetemi di non indirizzarvi verso il nuovo album della band folk indie inglese Turin Brakes: Invisible Storm.
In qualche modo la band londinese fondata da Olly Knights e Gale Paridjanian è considerarsi una survivor della scena alternative rock fine anni novanta. Nonostante le promesse iniziali nonchè il successo mainstream dei primi album, per questo nuovo lavoro si sono avviluppati attorno al sound con più sentimento di quanto ne arrivi in realtà all’ascoltatore.
Molte delle tracce di Invisible Storm si sono significativamente distaccate dal suono acustico di The Optimist o Ether Song, risultando in gran parte deboli e diventando rapidamente più una musica da sottofondo che altro. Ad esempio, Lost in the Wood suona incredibilmente simile a Dreams dei Fleetwood Mac, peccato non si possa affermare sia meglio dell’originale. Qui la melodia del pianoforte si infrange in modo un po’ goffo in armonie popolate di ritornelli già sentiti. Purtroppo, Would You Be Mine dà vita al peggiore scenario possibile. I primi venti secondi introducono una sonorità innovativa, quasi da romanzo di fantascienza, ma poi tutto si blocca e non si sviluppa come da premesse, senza generare alcun impatto.
E’ un po’ come se leggendo questo libro si fosse sul punto di scoprire se esistano forme di vita aliene, ma appena si volta curiosamente la pagina, c’è scritto solo “the end”. Tomorrow sembra un omaggio a The Script, un up-tempo che si mescola bene con il sound dei Turin, un ritornello accattivante che, se non stanca prima, ha qualche possibilità di rimanere impresso soprattutto nella parte finale. Altra storia invece per Deep Sea Diver che ha tutti gli elementi classici di una canzone in stile Turin, un blues melodrammatico che risveglia i sensi e i ricordi di un passato oramai lontano.
Invisible Storm, brano tema dell’album, è invece più vicino a una ballata pop che ricorda Broken Wings di James Morrison con l’aggiunta di un pizzico in più di inquietudine. Smoke and Mirrors porta finalmente delle sorprese, questo si che avrebbe potuto essere il tema su cui “Invisible Storm” avrebbe dovuto fare “clic”.
Una piacevole eufonia di suoni che coinvolgono un’intera orchestra, dal pianoforte alle campane fino alle chitarre lamentose e agli euforici violini, che si trasforma in un armonioso patchwork melodico. La traccia di chiusura Don’t Know Much rimette le cose a poco più di chitarre e voci acustiche che cantano: “To get through 'easy' you gotta go through 'hard'”.
Per il loro ottavo lavoro, i Turin Brakes pare abbiano avuto un piccolo ripensamento su se stessi. L'album appare irrequieto e non lineare, non ci sono tracce particolarmente accattivanti o che lasciano un segno, anche minimo. Puoi alzare un sopracciglio ogni tanto si, ma nulla di più che attiri l’attenzione o la trattenga. Non c'è niente di rivoluzionario sfortunatamente, ma bisogna dargli atto di aver realizzato esattamente l'album che volevano fare, che sia poi un album “OK” e non “Wow”, questa è un’altra storia
Articolo del
17/04/2018 -
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