“We were always dreamin’ of castles in the sky, dreamin’ of another planet, how could we be so blind, chaos and confusion, maybe that is all that we are” così canta Kyle Thomas, in arte King Tuff nel suo ultimo album The Other che esce a quattro anni da Black Moon Spell.
Conosciuto per la turbolente guitar shredding dalle sfumature psichedeliche e per l'atteggiamento eccentrico, nell’ultimo album mostra come è riuscito a trasformare la sua tecnica un tempo caotica e ruvida, in un mestiere finemente bizzarro e personale.
King Tuff è un animale non addomesticato, da cui lo stesso Thomas però ha deciso ad un certo punto di prendere le distanze: “In pratica stavo interpretando questo personaggio, questo pazzo mostro festaiolo che beveva e faceva uso di droghe. Ero diventato strano, la gente sembrava volermi salvare da me, non ero più io.”
Il nuovo disco rappresenta un lato più esoterico e riflessivo del musicista, non più canzoni frenetiche e oltraggiose, ma brani colmi di speranza e fiducia e, anche se il re Tuff è preoccupato per il futuro, le tastiere synth su The Other suonano futuristiche nonostante l’effetto vintage. Traccia intima e nostalgico con voce, tastiere synth e chitarra acustica in Thru the Cracks, un inno glam anni '70 che racchiude in sé una lieve cupezza contemporanea. Raindrop Blue è un boogie jazz-garage viscido dalle palpitazioni di sassofoni in dissolvenza su un pattern sciolto. Psycho Star racconta il viaggio nella mente di King Tuff, che canta del suo periodo di riflessione lontano dalla vita, dalla musica e fino a al momento in cui è “uscito da sé”. Il brano inizia con un penetrante cosmic sound a cui si uniscono presto percussioni funky, synth vibranti e accordi di chitarra groovy.
Distorsioni protagoniste e un sax che sale di tono vorticosamente per Birds of Paradise suono che si intreccia con la voce calda ed emotiva, mentre le tastiere gridano e stridono in Neverending Sunshine, qui Thomas è alla ricerca di quel qualcosa in più, quasi come a volersi ricongiungere con il suo alter-ego dallo spirito psichedelico attraverso sonorità nuove e sperimentali.
L’album si chiude con No Man’s Land, arpeggi di chitarra e archi ultraterreni, backing vocals, atmosfera celeste e synth per questo brano che non solo chiude il cerchio che ha portato re Tuff a misurarsi con se stesso negli ultimi anni, ma che rispecchia al meglio il suo desiderio di tornare ad un momento in cui non solo la sua vita era più semplice e il mondo appariva più puro, ma a quando tutto gli sembrava quantomeno possibile.
Da animale selvatico si è dunque trasformato in un domatore e lo ha fatto senza spogliarsi completamente della sua accattivante stranezza. Ora il re(divivo) osserva tutto dall'alto, noncurante della domanda che con quest’album ci lascia in eredità - se ci sia oppure no qualcosa là fuori a vegliare su di noi e a guardarci - la cui risposta non è facile da trovare. Nel frattempo, per ingannare l’attesa, non possiamo far altro che lasciarci guidare dai testi delle sue canzoni che abilmente nascondono indizi: “The universe is probably an illusion, but isn’t it so beautifully bizarre…” e come dargli torto
Articolo del
10/04/2018 -
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