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Shame
Songs of Praise
2018
Dead Oceans / Goodfellas
di
Andrea Salacone
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Esordio fulminante questo Songs of Praise, inciso da una band londinese formata da cinque ragazzi con le idee ben chiare su come proporre una musica che, nel 2018, possa essere ancora travolgente strizzando l’occhio al passato senza “clonarlo”.
Canzoni concise, alimentate da un’irruenza e da un’esuberanza giovanile contagiose che danno vita a melodie accattivanti e a testi che mescolano uno sguardo disincantato sulla realtà a un atteggiamento scanzonato, incursioni nello sberleffo a squarci di dolente rappresentazione dello squallore e della sordidezza che possono annidarsi fra le pieghe del quotidiano (Gold Hole).
Le tracce scorrono, le chitarre scampanellano e/o aggrediscono, basso e batteria tessono un tappeto variopinto che dona compattezza alla tessitura musicale.
Dust On Trial inizia con garbo prima di imboccare strade claustrofobiche, le chitarre una sirena stridente, la voce, eccezionale, che da armoniosa diventa roca e grida la propria disillusione. Concrete, secondo brano, ibrida Joy Division e Fugazi, ma è lontana dall’effetto fotocopia; la voce è carta vetrata, potrebbe essere Henry Rollins; le sei corde suonano a la House of Love.
One Rizla, singolo perfetto il cui testo ribalta gli stereotipi della canzone d’amore, sfodera un maestoso wall of sound di chitarre e un riff inebriante. The Lick alterna parlato e ringhi alla John Lydon: una critica corrosiva alle modalità di fruizione della musica dei nostri tempi. La seconda parte dell’album smarrisce parte della vena melodica, ma si distinguono Donk, una “I Wanna Be Your Dog” dei nostri giorni, l’orecchiabile Friction, e Angie, ballata psichedelica sui generis con echi dei The La’s.
Punk, post punk, new wave, asperità che rimandano a gruppi quali Killing Joke, PiL (e Therapy?). Non un Bignami, ma un pugno di canzoni vigorose ed elettrizzanti. Speriamo di vedere presto questi cinque giovinastri in azione sui nostri palchi
Articolo del
21/03/2018 -
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