Arrivato circa cinque anni dopo il not-impressive Right Thoughts, Right Words, Right Action, il 9 febbraio ha visto la luce (non certo quella della sperata resurrezione) Always Ascending, album che va tristemente a posizionare i Franz Ferdinand, una delle band rock alternative dal sound peculiare e avant-garde ben al di sotto delle aspettative. Almeno le mie.
Nonostante la tanto annunciata svolta elettronica, e nonostante Philippe Zdar produttore di uno degli più ispirati e ispiranti album degli ultimi anni Wolfgang Amadeus Phoenix, l’album è ben lontano da generare l’entusiasmo che è stato destinato ai Phoenix a suo tempo. Il risultato aimè, è quello di un album statico e con una sequenza di brani scollegati tra loro, che poco ha a che vedere con i gloriosi esordi della band.
Ma facciamo un passo indietro. E’ noto a tutti oramai il cambio di formazione avvenuto nei Franz Ferdinand, una vera e propria mutilazione dovuta all’abbandono dello storico chitarrista Nick McCarty(sostituito da Dino Bardot e dal polistrumentista Julian Corrie). Come se non bastasse, nel mezzo del cammin dei Franz, c’è stato il progetto con gli Sparks da cui è nato l’album FFS. McCarty non era affatto un elemento secondario e il suo contributo compositivo era alla base dei lavori della band negli anni passati. Always Ascending è un album che ammicca al rinnovamento, ma lo fa per celare la totale carenza di innovazione.
L’album si apre con l’omonima (o anonima?) traccia, l’inizio con un piano-solo ad anticipare i cori, la voce calda e profonda di Kapranos sembra dare inizio ad una ballad e invece, surprise surprise, parte una dancehall, una disco new wave anni ‘80. Un mix non bene identificato tra Sexy Boy degli Air e i Talking Heads. Sempre in tema revival anni ‘80 segue Lazy Boy, il mio orecchio ha avuto un sussulto pensando si fosse insinuata nella playlist Heart of Glass dei Blondie, ma poi le chitarre impegnate in un ritornello ipnotico, il synth e le armonizzazioni di cori e tastiere mi hanno riportata alla dura realtà. Ed eccoci a Paper Cages, un brano poco coerente, quasi irrisolto, che non segue affatto lo stile elettro-dance che, teoricamente, dovrebbe essere il sound-guida dell’album. Stessa storia per Finally, pezzo dal retrogusto velatamente R’nB, che non spicca per originalità ma che, se non altro, va menzionata per la presenza dell’organetto sixties.
Abbiamo atmosfere 90’s dal ritmo sincopato per l’elettro pop di Louis Lane, un miscuglio indie-synth rock e funky per Feel The Love Go, accompagnata fino alla chiusura da una spirale di sax, e una danzereccia Glimpse of Love che ricorda nel refrain Telephone di Lady Gaga.
Huck and Jim è un brano alla “what's american boys”, una critica a Trump e alla sua (ai tempi) volontà di smantellare il servizio sanitario nazionale, unica canzone che davvero si differenzia dalle altre per un’accennata parvenza di originalità. A chiudere l’album Slow Don’t Kill Me, un tappeto synth e tastiere come se non ci fosse domani, per una ballad ripetitiva e davvero (davvero) troppo lunga.
Che dire, Always Ascending mi ha fatto rimpiangere il lontano 2004, quando ho avuto il privilegio di vedere per la prima volta in Italia questa band pazzesca presentare il loro primo progetto. Mi riesce difficile credere che siano i Franz Ferdinand. In attesa di capirlo, prendo la macchina del tempo e torno al Qube a fare due salti su "Do You Want to"
Articolo del
26/02/2018 -
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