Prezzo astronomico per la versione in vinile (quattro 33 giri e librone spettacolare di un centinaio di pagine), con l’aggravante delle copertine di cartone troppo strette: una volta sfilati gli Lp è difficile rimetterli dentro senza danneggiare la confezione. Unici difetti non proprio trascurabili di un’uscita che farà gongolare gli appassionati della band.
Il libro, zeppo di fotografie, ricostruisce la storia del trio a partire da cenni biografici dati per ogni musicista. Il clima burrascoso in casa Mould; la scomparsa del fratello maggiore di Grant Hart, che lo aveva avvicinato alla batteria; Greg Norton che scopre il rock, il jazz e la musica sperimentale grazie al gestore del negozio di dischi in cui lavora; la passione bruciante di tutti e tre per la musica, che si manifesta verso forme e generi diversi e che darà vita allo stile personale del gruppo.
Notizie importanti per inquadrare gli Hüsker Dü nel contesto in cui muovono i primi passi tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta – l’area che comprende Saint Paul e Minneapolis, le cosiddette Twin Cities del Minnesota, nel nord degli USA – per poi acquistare credito e notorietà nella scena musicale indipendente statunitense dell’epoca.
Una storia imperniata su uno spirito fermamente “DIY” (il “fallo da te” come criterio fondante dell’etica/estetica punk), autoproduzioni, tour in furgone per le strade d’America, contatti stretti con le altre realtà di quel sottobosco che animava e scuoteva le menti meno allineate del paese (tra gli altri, D.O.A., Dead Kennedys, Black Flag). Le scorribande degli Hüsker Dü sono documentate dal ricchissimo apparato fotografico che riproduce i flyer con cui si pubblicizzavano i concerti; vengono riportati anche il primo articolo dedicato alla band (26 novembre 1980, su un giornale locale), e, una “chicca” macabra, il manifesto in cui si annuncia la scomparsa della giovane Diane Edwards, vicenda raccapricciante che avrebbe ispirato uno dei brani più belli composti da Grant Hart.
Veniamo alla musica: il cofanetto contiene pezzi incisi dal maggio 1979 (la prima session catturata su nastro) al dicembre 1982 (il gruppo immortalato sul palco a Tucson). 47 delle 69 canzoni sono inedite, quindi le sorprese sono tante. Ovviamente, non si tratta sempre di gioielli inestimabili: del resto, opere come Savage Young Dü sono destinate a discofili che magari torneranno raramente a sentire tutti gli Lp del box (anche per evitare, in questo caso, di doverli ritirare fuori dalla copertina, ammesso si sia riusciti a rimetterli dentro dopo il primo ascolto senza fare danni).
Per ottimizzare i tempi e contenere i costi, Mould, Hart e Norton registravano spesso le performance dal vivo durante le quali presentavano nuovi brani: “sondavano il terreno” per capire se potessero funzionare o meno; in quei momenti il palco fungeva da sala prove. Numerosi quelli scartati per concentrarsi su altri ritenuti più riusciti: si trovano per lo più sull’Lp 1 e sull’Lp 2. Il gruppo prende d’assalto l’ascoltatore, i ritmi sono spesso vertiginosi (Do The Bee, Sexual Economics, What Went Wrong); spesso Hart canta e rantola mentre suona la batteria come un treno; il basso di Norton e la sei corde di Mould erigono un muro di suono invalicabile. Talvolta appaiono fugacemente un brandello di melodia, un riff, una progressione di accordi che ricompariranno in forma diversa nei dischi a venire, e in embrione quel sound che diventerà marchio di fabbrica del chitarrista.
Il cofanetto ci dà l’occasione di riascoltare il primo singolo autoprodotto Statues/Amusement; una “alternate version” di Land Speed Record (identico set di canzoni immortalate dal vivo in quell’occasione – il 7th St. Entry di Minneapolis – ma qualche settimana più tardi, nello stesso locale) e l’album Everything Falls Apart. Gli Hüsker Dü aggrediscono con rasoiate assordanti e testi al vetriolo; sputano bile e invettive contro conformismo e omologazione (Statues; Blah, Blah, Blah), guerrafondai (Ultracore, M.I.C., Push The Button), governi autoritari (Data Control), contro i figli dei fiori del “pace, amore e incenso” (Signals From Above) e la violenza nelle scuole a colpi di armi da fuoco (Guns At My School).
La forza travolgente di questi pezzi annichilisce, ma si intravedono qua e là i traguardi che raggiungeranno i tre quando, arginata la furia e rallentati (talvolta)i ritmi indiavolati, si apriranno anche all’introspezione e a una vena intimista di asciutta ma toccante poesia. Quando, abbandonati gli stilemi dell’hardcore punk (per gli Hüsker Dü una gabbia sempre troppo angusta), forgeranno un suono personalissimo, a volte intenso e impetuoso, altre struggente, con cui creeranno le opere indimenticabili che formano il resto della loro discografia.
Acquisto, insomma, oneroso ma obbligato per i fan, questo Savage Young Dü, che diventa, purtroppo, anche un modo per tributare un omaggio commosso al compianto Grant Hart e a una band che ha reso quegli anni così importanti per la popular music e per i cuori di tanti ascoltatori
Articolo del
09/12/2017 -
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