Nuovo album, il quinto per la precisione, per Ben Frost, il noto compositore australiano di musica elettronica sperimentale, che vive e lavora in Islanda. Il disco si intitola The Centre Cannot Hold e in questa occasione è stato registrato negli Electrical Audio Studios di Chicago di proprietà del mago Steve Albini (Shellac, Pixies, Nirvana, P.J. Harvey e molti altri ancora) che lo ha coadiuvato nella produzione.
L’album è stato finito in appena dieci giorni di lavoro, grazie all’atteggiamento rigoroso e alla vita spartana dei due musicisti, che si sono dedicati al progetto anima e corpo. A partire da Threshold Of Faith, il primo brano in ordine cronologico, il disco rivela tutta la sua essenza: impatti noise fragorosi e brutali che irrompono su ancestrali substrati armonici e ne scoprono la fragilità, l’inconsistenza.
Una metafora sulle buone intenzioni che costellano il percorso dell’Uomo sulla Terra? Forse si tratta proprio di questo, perché anche nelle composizioni successive, tipo Trauma Theory, Eurydice, Entropy In Blue e l’affascinante Ionia, la dinamica non cambia: sonorità massicce e pesanti si abbattono su un tessuto armonico tenuto insieme dall’elettronica, siamo testimoni muti di parti che si staccano e cadono al suolo, del fragore originario del Mondo, che incessantemente prova a ricostruire un ordine melodico che possa essere suo, che possa essere vero.
Ben Frost ha sempre cercato di esplorare quelle che sono le proprietà tattili di un suono, ha sempre voluto riprodurle: ecco, questa volta ci è andato incredibilmente vicino e sembra proprio di stare lì, che tutto quello che ascoltiamo, accada ad un passo da noi.
Sonorità proprie delle sirene delle ambulanze si mescolano agli allarmi delle autovetture o degli antifurto dei negozi e si vanno a innestare sulle stesse linee melodiche disegnate da una armonia permeata di elettronica. Quella che immaginiamo come la colonna sonora dell’Apocalisse emerge dal lettore cd: è fredda, glaciale ma al tempo stesso sa essere incalzante nel suo incedere.
C’è un senso preciso della nostra fragilità, della nostra mortalità su questo disco, che in parte ti prende e ti coinvolge profondamente, in parte ti blocca, ti lascia impaurito. Il titolo dell’album è stato ispirato da una poesia di W. B. Yeats che si chiama The Second Coming. E non potrebbe essere che All That You Love Will Be Eviscerated sia in realtà la profezia di un cataclisma, quello finale, che ci lasci senza via di scampo?
Il primo disco “americano” di Ben Frost è l’elogio della dissonanza e del rumore. Ma ha una struttura così intelligente, così sapientemente emotiva che è praticamente impossibile sfuggire al suo ascolto. Disco incredibile, da ascoltare in silenzio e senza fare altro
Articolo del
16/11/2017 -
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