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Kevin Morby
City Music
2017
Dead Ocean
di
Valerio Di Marco
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Peccato davvero. Kevin Morby è come un bravo pilota di Formula 1 che appena si convince di essere imbattibile esce di strada alla prima curva perché si era messo a guidare con una sola mano. Un eccesso di sicurezza che l'ex bassista dei Woods paga a caro prezzo, quello cioè di fare un passo indietro rispetto all'ottimo Singing Saw, uscito appena un anno fa.
Il risultato è che alla fine dell'ascolto di questo City Music, ti chiedi dov'è che tutto è andato storto. La sensazione che resta è l'irritazione per un talento così convinto nei propri mezzi da credere che sia superfluo allenarsi. Un po' come quei galli da riviera romagnola che si crogiolano nella convinzione di avere il membro più grosso di tutto lo stabilimento e per questo si ritengono il non-plus-ultra dell'ars amatoria.
Vengono in mente Patrick Wolf e Get Well Soon, ma non quelli di The Bachelor e Vexations, bensì quelli più "odiosi" nella loro ridondanza e persi nei barocchismi classicheggianti che hanno caratterizzato tre quarti buoni delle rispettive produzioni.
Ovviamente qui siamo lontani anni luce dagli scenari art-pop/celtici o dai miasmi mitteleuropei/wagneriani, e la questione va inquadrata nell'ambito del folk e del songwriting americano di stampo rock-blues. Ma sempre interpretato dal Nostro con quell'aria da dandy viziato e impenitente, figura angelica asessuata dal tono annoiato e dalle pose lussuriose solo in parte attutite dalla mascolinità dei suoi riferimenti musicali.
Morby è derivativo fino al midollo ma non si limita a Dylan e Lou Reed, anzi. L'opening Come To Me Now è una ballata notturna e sospesa alla Nick Cave, mentre Crybaby è un giro di rodeo in perfetto stile Arcade Fire. A tratti esagera pure con gli ampere come nel garage-punk di 1234. E nondimeno tra gli episodi degni di nota figura quella ninnananna gospel-soul che è Dry Your Eyes.
Ma a non convincere in generale è la scrittura dei brani. A monte. Sul tutto aleggia il senso d'incompiutezza. City Music parte forte, ti chiedi in quale porto attraccherà, ma poi quella che credevi una crociera si rivela una traversata su un barcone di legno mangiato dai tarli che si ribalta a metà percorso e ti lascia in balia delle onde. Lui lo sa e infatti prima che te ne accorgi ha già preso il largo col suo gommone. E a te non resta che sperare nel soccorso di qualche ONG
Articolo del
16/08/2017 -
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