Ha una bella faccia tosta Luca Andriolo, già in orbita con i Dead Cat in A Bag, a presentarsi con un disco di cover con l’aggravante dell’intramontabile Love Me Tender (Elvis) posta in apertura, in una versione spaventosamente cupa, se non addirittura spettrale, fatta di chitarra ghost e timbrica da cui Mark Lanegan dovrebbe solo imparare per tornare a essere ciò per cui saltavamo dalla sedia venti anni fa.
Swanz è fondatore dei Dead Cat In A Bag che hanno avuto diversi ruoli, da headliner a opening band per Bonnie Prince Billy, Hugo Race, Dad Horse Experience. All’attività con la band, Swanz accosta il lavoro per il teatro come compositore, attore e musicista in scena, mentre con il progetto Electro Strings ha suonato per eventi pubblici e privati, inaugurazioni e programmi televisivi. Ha collaborato inoltre, in veste di polistrumentista, arrangiatore e produttore artistico, con Gentless3, Federico Sirianni, Gianluca Mondo, Davide Tosches, Barbagallo, Thomas Guiducci & the B-folk Guys, Stella Burns, Salvo Ruolo, Liam McKahey.
Questo nuovo lavoro, in uscita il 26 maggio, è intimo e molto particolare, pericoloso perchè nel suo andamento ponderoso e lento costringe a riflettere bene sui dettagli a mo di velo per nascondere qualcosa che ha smosso le corde di Luca, qualcosa che non vogliamo infilare in questa recensione che ma che sembra sia ancora molto dolorosa per il compositore torinese.
Il suo è un viaggio che lo porterà verso il possente traditional Wayfaring Stranger, rifatta da grandi ormai passati a miglior vita come Johnny Cash in American III: Solitary Man. Sembra una dichiarazione di sconfitta (Peggy Sue si è sposata e qualcun altro è rimasto con il cuore spezzato) ma non una resa.
Altrettanto personale risulta The Eternal (Joy Division), ripulito da ogni sovrastruttura il brano avanza con banjo e violoncello di Francesca Musnicki su cui si pone la voce di Luca che, udite udite, ricorda il Tom Waits di Dirt On The Ground.
A quanto pare nessuno resiste al fascino di All Along The Watchtower, lo stesso Hendrix ci mise ben 101 take prima di trovare la sua versione definitiva. Non conosciamo il numero raggiunto dal gatto solitario, ma immaginiamo che non sia stato facile trovare una dimensione personale per un brano così complesso.
C’è posto anche per Hank Wlliams di Cold Cold Heart e il Cale di Thougthless Kind ma il fulcro del disco è imperniato su un brano di Kris Kristofferson, For The Good Times, da cui è nata tutta l’idea e lo sviluppo di questo Covers In My Bed, Stones in My Pillow. In mezzo a tutto questo di roba, Luca si affaccenda fra arrangiamenti fatti di mandolino, harmonium, chitarre elettriche e acustiche, armonica, banjo e cori, per non parlare della produzione.
Insomma un disco completo, fatto di cover che hanno ancora qualcosa da dire attraverso i polmoni del singer torinese che rigurgita una timbrica cavernosa, calda e molto profonda. Non che ci sia molto da dire su un disco a cuore aperto, aggiungere molte parole sarebbe superfluo e arrogante da parte di chi scrive. Il fianco dell’autore è scoperto, i suoni indagati nel dettaglio, il folk denudato di qualunque sovrastruttura.
Seguendo la regola del less is more, l’autore ci consegna un ottimo lavoro, pacato, equilibrato e potente come un gancio in pieno volto simile a quello di Tyson in Una notte da Leoni, solo che qui c’è veramente poco da ridere.
Concedetegli una possibilità e molti ascolti, non è un invito ma un’ingiunzione
Articolo del
25/05/2017 -
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