Bianco e nero, un diavolo gigante di profilo con una mano leggermente protesa e ai suoi piedi delle piramidi: sin dalla copertina è facile capire dove vogliano andare a parare gli Afghan Whigs con il nuovo disco In Spades. In uscita il 5 maggio 2017 per Sub Pop Records, l’album segna il ritorno dell’alternative rock band statunitense nata alla fine degli anni ’80 a Cincinnati, Ohio.
Scritto e Prodotto dal compositore e vocalist Greg Dulli, In Spades è stato registrato tra New Orleans, Los Angeles, Memphis e Joshua Tree e, proprio a partire dalla cover, sfida l’ascoltatore ad aprirsi ad un mondo di metafore scure ed immaginari spettrali.
«Non è un disco tematico, ma segue un filo conduttore – spiega il frontman - parla di come la memoria finisca per confondersi con il presente molto rapidamente. Mi piace che sia velato. Non è un concept album di per sé, ma quando ho cominciato a montarlo, ho visto un arco e l'ho seguito».
L’album si apre con Birdland, una sorta di brano introduttivo, in cui sono gli archi a farla da padrone con pause, repentine riprese e una serie di crescendo, con la voce di Dulli che entra dolce, sino a creare un’atmosfera davvero unica che mischia tensione e soavità. Per un attimo sembra di ascoltare un pezzo dei Genesis di Peter Gabriel.
Poi tutto cambia con Arabian Heights, secondo singolo estratto: deciso, caratterizzato da ritmi quasi tribali, tendenzialmente rock, che vede il contributo del batterista Patrick Keller, preciso e dinamico. Tonalità comunque dark, che proseguono in Demon in Profile, dal giro di piano e basso davvero accattivante, capace di dare vita nella strofa a un sound pieno, d’altri tempi per efficacia e groove. Nel ritornello, invece, la canzone si apre e cambia facendo rotta verso la luce con i fiati a fare strada. Inutile negarlo, viene subito voglia di riascoltarla.
L’indie subentra solo in Toy Automatic, ma già con Oriole si rientra nei canoni classici dell’alternative, ancora oscuro, addolcito solo dagli archi. Keep on rocking con il riff graffiante di Copernicus, dove ancora una volta gli Afghan Whigs giocano con i chiaroscuri in note nella seconda parte. Ombra e luce si alternano anche in The Spell e Light as a Feather, mentre si viene letteralmente rapiti in un turbinio melodico in I Got Lost, nel mood molto simile alla celebre In the Flesh? di “The Wall’’ dei Pink Floyd.
La chiusura è affidata a Into the Floor, dove Dulli con la sua voce stavolta struggente accompagna l’ascoltatore nell’ultimo capitolo di un disco forte, compatto, rapido, diretto e che per omogeneità di sound e attitudine si avvicina molto all’idea di concept album
Articolo del
23/04/2017 -
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