Astri che fluttuano, stelle che brillano, orbite che orbitano, cosmo...che cosma. Finito il giro nell'Earth Hotel, abbiamo chiamato un taxi ed è arrivata un'astronave. Pronti via. Goodbye planet hearth, ce ne andiamo nello spazio a rimirar l'infinito. E qui di metafore celesti ne abbiamo a profusione.
H3+ è la particella di cui è composto gran parte dell'universo a noi conosciuto. Il quinto lavoro in solitaria del compositore milanese è un pò come immaginarsi sciolti in materia in tante particelle, ma potendo portare con noi ricordi e suggestioni della vita umana. Che cosa diremmo ? Che sensazioni avremmo ?
Si OK gli Scisma, Rosemary Plexiglas e l'alt-rock dei '90...Ma Paolo Benvegnù è uno di quegli artisti per cui la carriera solista supera di gran lunga quella col suo gruppo di provenienza.
Dal 2004 non sbaglia un colpo. E se il precedente lavoro sembrava - insieme a Hermann - l'apice compositivo difficilmente replicabile di una carriera comunque fantastica, Paoletto ci fa ricredere tirando fuori un disco che, ancora una volta, lascia di stucco. Cerebrale, difficile, a tratti ermetico - certo - ma ascolto dopo ascolto, in quella tuta d'astronauta all'inizio così scomoda inizi a muoverti bene e a fare pure le capriole. Tanto più che l'ossigeno non finirà.
Gusto per le melodie, synth sottotraccia, divagazioni psych, escursioni jazz, inchini al cantautorato nostrano, testi intellettuali alla Battiato...Ma anche un retaggio che affonda le radici nei Beatles, in Bowie, nel blues: H3+ è una summa dello stile Benvegnù, così simile ma anche così diverso da quanto fatto in precedenza.
Un viaggio di notte per andare dove la notte non finisce. Si parte in sordina col celestiale arpeggio pizzicato e i violini “accordati dal vento” di Victor Neuer, e si prosegue con la spaziale Macchine, la sincopata Goodbye Planet Earth, l'estatica Olovisione In Parte Terza che fa tornare alla mente lo Zucchero di Diamante, la soave Se Questo Sono Io dove riecheggia il Pierangelo Bertoli di A Muso Duro, la sorniona Quattrocentoquattromila, la polverosa Boxes e la bellissima Slow Parsec Slow, con la lunga coda dove a spiccare è il sax di Steven Brown dei Tuxedomoon (band che il Nostro aveva già omaggiato nel 2005 con la cover di In A Manner Of Speaking nell'EP Cerchi Nell'Acqua).
Insomma, no, sulla terra non torniamo. Ce ne restiamo qua, disciolti in particelle, tanto abbiamo tutto quello che ci serve. E per un drink c'è sempre l'Astrobar Sinatra
Articolo del
12/04/2017 -
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