L’ascolto di questo nuovo album si traduce ben presto in un’esperienza mistica che rivela gli aspetti più alti, le venature più profonde dell’Ambient Music, quella che - per chi scrive - cominciò con Heavenly Music Corporation, primo lato di 'No Pussyfooting', album del lontano 1973 che vedeva Brian Eno collaborare con Robert Fripp dei King Crimson. Da allora in poi molto tempo è passato: Eno ha riscoperto la forma canzone in tanti suoi album come solista, ha sperimentato altri discorsi musicali in collaborazioni diverse (l’ultima quella con il compositore Karl Hyde), ma adesso sembra intenzionato a tornare alle origini.
Accenni delle atmosfere rarefatte e sospese che ascoltiamo su 'Reflection' li abbiamo trovati su 'Lux' e su 'Neroli (Thinking Music)', ma in questa occasione il discorso diventa più completo, totalizzante direi. Brian Eno definisce questo genere di musica come ”spazi provocatori per il pensiero”, una pratica in effetti ben poco diffusa ai nostri giorni. E non c’è niente di meglio - ve lo assicuro - che lasciarsi andare all’ascolto della lunga suite che costituisce 'Reflection', unico brano, unica traccia, di questo incredibile album. E’ il silenzio che si riempie di musica, oppure l’esatto contrario, è uno stimolo che porta alla ricerca di significati, è soltanto un insieme di pulsioni elettroniche, vero, ma è capace però di “generare” vita. Le note di Reflection sono come frasi in embrione originate dal pensiero, che di solito ha bisogno di altri passaggi prima di articolarsi verbalmente. Ecco, fermiamoci qui, allo stadio primario, non facciamoci prendere dalla frenesia di trasformare tutto necessariamente in parole (“Better silence than bullshit” sostiene l’Iguana, uno che nonostante i suoi eccessi, ha sempre misurato le parole). Ascoltiamo 'Reflection' per quello che è, il corrispettivo sonoro del fluire dei pensieri nella nostra mente, il pulsare del nostro cuore quando in solitudine ci mettiamo a pensare, quando “facciamo conversazione con noi stessi” (Eno).
'Reflection' è la somma di continue variazioni, di tanti passaggi e possiede il dono di presentarsi nuova ad ogni ascolto, ripetuto nel tempo. Ritengo corretto chiudere la recensione di un disco difficile da descrivere attraverso le parole con una osservazione moto pertinente rilasciata da Eno recentemente: “E’ possibile dividere gli artisti in due categorie: contadini e cowboy. I contadini si creano un pezzo di terra e lo coltivano con cura, trovando sempre più valore in esso. I cowboy cercano nuovi posti e sono eccitati per il puro e semplice fatto della scoperta, e la libertà di essere in un posto dove poche persone sono state prima. Ho sempre pensato di essere caratterialmente più un cowboy che un contadino... ma il fatto che la serie a cui appartiene questo pezzo è in corso ormai da oltre 4 decenni, mi fa pensare che ci sia una gran parte di contadino in me.”
Articolo del
17/02/2017 -
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