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Davide Tosches
Le Luci Della Città Distante
2014
Controrecords
di
Giuseppe Celano
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Davide Tosches è un personaggio della fantasia e un uomo reale, la sua musica è quasi impalpabile, distaccata dal crollo rovinoso verso cui il mondo si sta dirigendo. Le canzoni sono immuni all’ansia da prestazione, aliene dal raggiungimento della meta attraverso il processo della via più breve. Sospese lontane dallo scorrere veloce del tempo. Sono composizioni placide, lente, quasi eteree. Poche note, pensate, studiate e ottimizzate nei particolari. Perché sono proprio quest’ultimi a rendere interessanti le storie che ognuno di noi ha da raccontare (L’Autunno). Più piena e regolare risulta Il Campanile, fatta di sezione ritmica ovattata, chitarre acustiche e I Sogni di Davide, sospinti dai fiati delicati. C’è spazio profondo e ampio per i testi di questo cantautore che non ha nessuna voglia di urlare o imporre le proprie visioni alzando i volumi. ”Le Luci Della Città Distante” è davvero un bel lavoro, stratificato e complesso. La voce di Tosches sembra scollarsi dal resto procedendo per conto proprio su questo tappeto sonoro, fatto anche di archi e fiati che danzano insieme pur mantenendo una distanza di sicurezza (Il Primo Giorno D’Estate). In L’Airone per un attimo sembra di ascoltare una versione lo-fi e depurata di Cupe Vampe dei C.S.I. Una grande sorpresa e un pezzo micidiale. Questo terzo disco è più maturo, un profondo senso di disillusione sembra pervadere Tosches, consapevole che il declino a cui sta assistendo è ormai irreversibile. Invece di scagliarsi contro l’origine del male, Davide osserva e fotografa mentalmente gli ultimi magici istanti di cose, come la morte di un calabrone, che ormai agli altri non sembrano più interessare. È un gioco di sottrazioni, di silenzi e accenni, di ombre e reverberi, la luce è poca ma funzionale. GianCarlo Onorato e molti altri (Ramon Moro al flicorno, il minimalismo elettronico di Hugo Race e gli archi di Catherine Graindorge) accompagnano Davide in questo lavoro equilibrato che vanta molti colpi ben assestati. È un disco quasi da camera e luci basse, da vino rosso e pensieri profondi ma non di scoramento o depressione. Tosches fa da coproduttore, ci mette la faccia, controlla che ogni singola parola sia coerente con la propria visione delle cose, della vita nei boschi. L’unica incoerenza stilistica sembra essere proprio quella voce insofferente opposta alla morbidezza della musica. Impegnata in un linguaggio semplice e sfumato, immaginifico, spoglio da inutili orpelli e aderente alla visione semplice della natura di cui ogni giorno si circonda.
Articolo del
16/07/2014 -
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