Era prevedibile che Nicola Manzan scegliesse immagini forti, sbattute nella frontpage, per il suo nuovo lavoro, è nel suo stile. Ancora più scontato, considerando il titolo, è che il disco parli di argomenti scabrosi e violenti, di memorie storiche che l’Italia tutta vorrebbe rimuovere dal suo passato. Fin qui niente di strano, ma che la stampa si sia scagliata in una serie di polemiche insulse sembra esagerato e quantomeno fuori luogo, almeno a noi. Uno Bianca è il nuovo parto di Bologna Violenta, mutuato dal nome dato al gruppo di banditi, cinque poliziotti e un civile, attivo a Bologna e dintorni dal 1987 al 1994. Un centinaio di colpi, ventiquattro persone uccise e più di cento ferite, sono i dati relativi alla banda guidata dai fratelli Roberto e Fabio Savi.
Su questa tragica storia scorrono le frenetiche composizioni di Manzan che sfruttando i 180 bpm, ma non solo, abbandona il song-like format cercando di perseguire una continuità virtuale/compositiva nel pieno rispetto cronologico dei fatti, ricostruiti in base alla consultazione degli stessi atti processuali. Ventisette tappe di violenza sonica per raccontare una delle pagine più sanguinose di Bologna e dell’Italia intera. Sotto forma di frustate velocissime e dal suono tagliente, infarcite di una dose massiccia di archi che aumenta esponenzialmente il pathos, scorrono le immagini e i suoni di campane a morto che ricordano tutte le vittime. Le esecuzioni velocissime rappresentano il modus operandi e l’adrenalina dei cinque banditi le cui prede preferite erano distributori di benzina, caselli autostradali, banche e supermercati.
Che dire: Manzan ha il suo modo di ripercorrere questi terribili eventi sfruttando quello che sa fare meglio: composizioni brevi, suoni secchi e stridenti, velocità estreme. Tutto nella norma insomma, niente di nuovo sotto il sole, almeno non dal punto di vista concettuale. L’album vanta un sound cupo e compresso a metà strada fra il primo e secondo lavoro, danza pericolosamente tra noise e metal più pesante trovando una via di fuga ritmica nel grindcore, in stile Napalm Death. La massiccia presenza degli archi è la vera novità di questo lavoro, la cui funzione è di costruire una ragnatela emotiva imperniata sulla tensione. Se le macchine dalla potenza compressa che sputano violenza noise e death metal rappresentano gli atti commessi dalla banda gli archi allora sono quello stupore e l’orrore, misto a incredulità, della gente comune, spazzata di fronte a tale atti barbarici.
Quello con cui Nicola ci aveva colpito nel primo disco è ben presente. Sta a voi decidere se è ancora onesto e valido o se è la furba riproposizione di quanto già detto, il che potrebbe portare alla maligna conclusione che lascia presagire un impoverimento della sua vena artistica. Per la redazione questo disco rimane in piedi con un equilibrio precario, mostra alcune innovazioni e altrettanti punti fermi che in questo caso non sono certezze ma mancanza di un’innovativa evoluzione.
Articolo del
26/02/2014 -
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